Il divertimento è altro

Quello che è successo al Festival di Sanremo è senza ombra di dubbio qualcosa che fa discutere. L’esibizione di Blanco, il suo atto di vandalismo nei confronti della scenografia del palco dell’Ariston non ha nulla a che vedere con la piacevolezza della musica. E se il gesto è stato davvero brutto, le parole che lo hanno seguito hanno fatto di peggio: “Io mi sono divertito comunque”.

 

A fronte di un problema tecnico in cuffia, la reazione del cantante non è stata quella di interrompere l’esibizione per comunicare il guasto, ma al contrario ha proseguito danneggiando e scaraventando per aria vasi, fiori e scenografia. Interrogato dal conduttore Amadeus per il gesto, ha dichiarato:

 

Tanto la musica è la musica, bisogna divertirsi. La cosa bella della musica è che non bisogna seguire uno schema, ci sono delle volte in cui le cose non vanno bene... non si sentiva la voce perciò ho cercato comunque di divertirmi.

Quello a cui gli spettatori hanno assistito non è classificabile come divertimento per la musica, non è nemmeno un tentativo maldestro di ovviare a un problema tecnico durante un’esibizione, ma è una evidente difficoltà di regolazione emotiva, un’emotività che dilaga distruggendo quello che incontra.

Il rischio è che un gesto simile passi il messaggio che quando vuoi divertirti sei legittimato a prendere quello che hai intorno, anche se non è tuo, anche se è frutto del lavoro e della fatica di qualcun altro, distruggendolo. 

NO, NON È COSÌ

È legittima l’emozione della rabbia per un imprevisto tecnico che inficia l’esibizione. 

Ma dichiarare che il suo comportamento è stato la manifestazione del suo divertimento e del suo fare musica, non è in alcun modo accettabile.

Il comportamento è stato inaccettabile, tuttavia ciò non motiva il mero gossip. Quanto è accaduto ieri è solo un episodio, pubblico, in diretta nazionale, ma non è nemmeno stato l’unico (basti pensare agli Omini, alla loro eliminazione da Xfactor, o  all’esibizione dei Måneskin a Las Vegas) non è quindi corretto usarne il protagonista come capro espiatorio. Sarebbe invece utile cogliere l’occasione per parlare con i nostri figli, per dialogare insieme a loro rispetto alla capacità di dare un nome alle emozioni e alle conseguenze che può avere una gestione emotiva sbagliata.

Ma se lui fosse venuto da te e ti avesse detto "Scusi signor Amadeus, non sento bene, potremmo rifarla?".
Noi gliela facevamo rifare.

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